«Dio perdona sempre, l’uomo qualche volta, la natura mai». Questo noto proverbio racchiude ciò che possiamo
chiamare una metafisica del perdono, nella quale si possono distinguere tre tipi di essere: l’essere
infinito di Dio che è sorgente di ogni perdono, l’essere finito dell’uomo, che è capace di perdonare perché
dotato di libertà, e l’essere altrettanto finito della natura, incapace di perdonare perché obbedisce soltanto
a leggi fisiche o psichiche. Nel perdono umano vi è la compresenza di tutti e tre: la natura come causa dei
processi psichici che devono essere superati (la vendetta o il rimorso), l’uomo come soggetto che offende
o che viene offeso e, soprattutto, Dio quale origine e fine ultimo del perdono.
Ma è l’esistenza stessa di una relazione fra l’offensore e l’offeso inficiata dal male a suggerire la necessità di
elaborare un’Antropologia del perdono. Essa poggia sue due tesi. La prima verte sulla necessità del perdono
sia da parte dell’offensore sia da parte della vittima, poiché senza perdono non è possibile il pentimento
ma solo la colpevolezza, il rimorso e la disperazione; viceversa, senza pentimento non vi è nessun vero
perdono ma solo l’oblio dell’offesa, della colpa… o la pura indifferenza.
La seconda tesi è ancora più forte: oltre ad essere una necessità per l’offensore e per l’offeso, il perdono è
un dovere perché soltanto esso è capace di trasformare una relazione corrotta dal male (e perfino di rigenerarla),
che altrimenti si cristallizzerebbe nella paura, nel rancore o nell’odio, ossia in una totale sfiducia
in sé e nell’altro. Il perdono è dunque un bene relazionale.
Editore:
EDIZIONI SANTA CROCE
Genere:
Antropologia
Pagine:
248
ISBN:
9788883337840